Quando non

c’è #STRATEGY

i COPY
BALLANO.

Sono una strategist. E una copy. E nella mia precedente vita, anche un direttore creativo. Se vuoi sapere cosa so fare, non chiedermelo. Mettimi alla prova.

Nel linguaggio della visione, per spazio negativo si intende uno spazio vuoto e privo di contenuti. Uno spazio che come ci è stato insegnato, serve all’occhio per “respirare” e che permette di focalizzare l’attenzione in maniera univoca sul soggetto significante della rappresentazione.

Lo spazio negativo è indispensabile in una buona composizione visiva (grafica, pittorica o fotografica) e l’equilibrio che si crea tra gli spazi pieni e gli spazi vuoti è la misura con cui si può valutare un lavoro svolto da mani sapienti oppure inesperte.

Chi ha poca esperienza infatti, tende a soffrire del così detto “horror vacui”, ovvero la paura che lo spazio lasciato vuoto possa essere interpretato come mancanza di idee. E così ci troveremo di fronte a immagini costipate, soffocanti, per certi versi infernali (che andrebbero bene solo se avessimo l’obiettivo di catapultare l’utente in un girone dantesco).

Esiste un trucco per dominare lo spazio negativo e ristabilire il giusto equilibrio con quello positivo: si chiama gabbia grafica. La gabbia grafica è quello schema che definisce gli spazi in cui andranno a collocarsi i contenuti della composizione visiva: testo, immagini, spazi pieni, spazi vuoti. Un piccolo paradigma che garantisce chiarezza e ordine e che è sempre un buon punto di partenza anche per chi, dopo anni di mestiere, i vincoli è abituato a spezzarli.

Che lo spazio negativo sia sempre privo di contenuti, però non deve essere dato per scontato. Infatti, nella grafica, siamo stati abituati fin da bambini a ritrovare con sorpresa ammirazione, significati più o meno nascosti anche negli spazi così detti vuoti (basterà come esempio ricordare il ritratto in bianco e nero della giovane signora che può essere riletto per dar vita al volto di una vecchia befana – non mi dite che lo avete dimenticato perchè per un bambino è sempre un’immagine inquietante!).

Stessa cosa dicasi per il logo design, in cui lo spazio negativo rivelatore di un secondo significato è ormai un must. La scoperta del secondo significato in un logo può addirittura provocare effetti virali sulla diffusione di un brand (A-Style), ma senza aspirare a questi livelli, aggiunge un effetto sorpresa che contribuisce a renderlo memorabile.

a-style-logo

Ecco alcuni suggerimenti per utilizzare al meglio lo spazio negativo nella rappresentazione di un logo:

  • definite il primo significante: delineate un soggetto principale;
  • nascondete mostrando: costruite il soggetto nascosto come integrazione del soggetto principale;
  • testate il colpo d’occhio: il soggetto significante deve rivelarsi per primo e catturare l’attenzione;
  • testate l’effetto sorpresa: il secondo significante deve manifestarsi solo dopo il primo significante;
  • siate stimolanti: non rendete le cose troppo facili, alimentate la curiosità.

In tutto questo, a costo di essere ripetitiva, un’ultima regola: less is more. Fatevi affascinare dai tratti semplici e dalle forme essenziali. Sarete vincenti.

Se siete interessati ad alcuni esempi di utilizzo dello spazio negativo, potete guardare le illustrazioni di altissimo livello di Noma Bar.

 

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